lunedì 10 maggio 2010

Recensione


Eccoli Pasquino, Brunello, il partigiano Saverio e Federico, eccoli inciam­pare bruscamente sulla fine del vecchio mondo, eccoli rantolare sgomenti sul ciglio di una nuova vita. Vuoti, collerici, dannati, illusi sognatori attanagliati dall’aria tersa, dalla consapevolezza che il sipario si sta chiudendo rapida­mente. Senza sole, ebbri d’aria bruciata, rimasti senza spettacolo, sballottati al suolo, sporchi di sangue, si leccano le ferite piagnucolando.
E adesso?
Adesso il vecchio mondo si è sgretolato, è arrivato al capolinea.
Che un giorno sarebbe successo lo sapevamo tutti.

Immaginatevi la fine del mondo. Immaginatevi che arrivi portando con sè cascate d’acqua che sommergono tutto, lasciando emergere come isole solo alcune città come Bologna e Ferrara, poche terre emerse popolate da sparuti soparvvissuti. Questo è lo scenario e non di un libro di fantascienza più che altro è l’inizio di una favola colorata, scanzonata, irriverente che ha per protagonista assoluto non un personaggio umano ma un misterioso uccello, il Tocororo, un uccello sacro, simbolo di Cuba che per uno strano accadimento si trova a volteggiare nei cieli di Ferrara. Il vecchio mondo con tutti i suoi errori e orrori ormai è finito e sfolgorante inizia l’alba di un nuovo mondo e cosa meglio di una missione, di un’ odissea moderna ci può portare da Ferrara a Cuba a bordo di una zattera guidata da Federico e Pasquino per riportare il misterioso Tocororo nel suo abitat naturale in un simbolico abbraccio che riunisce i popoli, che riunisce il nord e il sud del mondo non più divisi dalle barriere dell’ingiustizia, dello sfruttamento. Nel loro avventuroso viaggio Federico e Pasquino novelli Ulisse incontreranno personaggi bizzarri, pirati, mercenari, amazzoni guerriere, cannibali, tutti seriamente decisi a combattere per sopravvivere, e porteranno a termine la loro missione scoprendo anche il mistero legato al variopinto pennuto. La ballata del Tocororo è un libro divertente, sguaiato, allegro che contiene un messaggio di libertà, di speranza, di pace e di amore. Più che un romanzo dicevo è una favola, in cui la fantasia degli autori spazia senza confini, portandoci in luoghi inesplorati, in dimensioni oniriche estreme e buffe dandoci la netta sensazione che un mondo diverso si può concepire, si può idealizzare, perché i confini angusti in cui viviamo si sgretolano e si dissolvono se lasciamo che la fantasia vada al potere. Il bene e il male saranno sempre destinati a scontrarsi ma il bene ha una carta in più e la scoprirete leggendo questo bizzarro e anarchico libro.

Rassegna Stampa

Personalmente, sono sempre stato attratto da luoghi come Ferrara. Una città piccola, con un centro storico schietto e facilmente attraversabile a piedi o in bicicletta, eppure abbagliata dalle luci dell’enorme polo chimico a così breve distanza dall’abitato. Una facciata che nasconde in realtà un lato nascosto, dunque. Qualcosa di buio, di misterioso, che merita di essere raccontato. E questo è proprio ciò che fa l’Astolfi nel suo primo lavoro, edito dalla piccola ma brillante La Carmelina: utilizzare la periferia, i suoi due “grattacieli” e i vicoli stretti del centro come ambientazione per una serie di racconti inanellati fra loro, che rivelano proprio questa “dark side”, tra pensionati stanchi della vita che meditano il suicidio (Giuanin), badanti moldave in cerca di vendetta e ultras della Spal dediti al teppismo. Ogni storia si incastra in quella successiva, creando un piccolo ma tuttavia variegato microcosmo di un’attualità disarmante, in cui potremmo estensivamente e senza fatica riconoscere tutto il nostro Nordest.

Marco Meneghetti da: http://www.sugarpulp.it/critica/libri/palude