sabato 5 marzo 2011

Recensione apparsa su: http://www.lankelot.eu/


Enrico Astolfi, scrittore ferrarese classe 1976, accidentalmente originario di Magenta, alle spalle esperienze professionali tra Roma e l'Uruguay, ha esordito in narrativa pubblicando questa raccolta di quattro racconti, “Palude”, per una piccola e dignitosa libreria-casa editrice della sua città, Ferrara, La Carmelina. Secondo il suo concittadino e sodale Lorenzo Mazzoni, prefatore, in questo libro “Enrico lascia poco spazio al cambiamento. È consapevole che al di là di certi elementi surreali quello che racconta è fin troppo reale per essere stravolto. Ma nonostante tutto ama la città dov'è cresciuto. C'è una sorta di malinconica tenerezza nel raccontarla, uno stato d'animo che solo il nativo di queste afose terre può riuscure a creare e a donare: la palude è dei paludari. […]. Astolfi è riuscito, con semplice e invidiabile bravura, a dare una ventata di dignità all'ambiente malsano e statico di Ferrara”. Ambiente in cui, pare di capire, c'è qualcosa che resisterà a oltranza alle istanze più tenaci e radicali della globalizzazione e a tutti i cambiamenti, e a ogni modernizzazione: per Mazzoni è l'odore della palude, un odore che può piacere soltanto a chi è nato e cresciuto da quelle parti. Prendiamo nota.

Com'è Astolfi scrittore? Cominciamo col dire che Astolfi ha una buona sensibilità popolare. È uno che vuole raccontare la vita in provincia e la cultura della vita di provincia e non ha paura di cadere nei clichè. Astolfi sembra essersi nutrito della lentezza, del grigiore, della prevedibilità e della grettezza che fiacca e opprime chi proprio non resiste a certi guasti della vita di provincia: e anzi sembra aver studiato certe dinamiche, e certi stati d'animo, non sembra soltanto essersene nutrito. Il risultato sta in questi quattro racconti, non sempre efficacemente intrecciati – d'altra parte non ce n'era nessun bisogno –, d'argomento vario e d'ambientazione assolutamente cittadina. Nel secondo pezzo, probabilmente il più ispirato, Astolfi racconta “Le dimensioni della mediocrità” accompagnandoci nella vita di un piccolo borghese, Mario.
Così: “La solitudine, il volume della solitudine, la consistenza del tempo, il suo vivere, la casa, gli danno tristezza, sgomento e paura. Fra queste sensazioni prende forma la sua congenita necessità di essere un cittadino nella città, un gregario che ha forza e rifugio soltanto nel numero” (p. 43). Mario è uno che per anni ha lottato per rimanere anonimo, badando a vivere per il lavoro e per il lavoro soltanto, a essere produttivo, a evitare di assecondare la fantasia e l'immaginazione. A Mario non sono mai piaciute le novità, e in generale non è mai piaciuto ciò che è improvviso e inaspettato. Ma adesso sta per andare incontro a una promozione. La promozione diventa ragione di meditazione sulle cose della vita. Mario crede di doversi impegnare perché tutto rimanga così com'è: “perché i cambiamenti sono inutili. Il sistema funziona, lui funziona, le istituzioni funzionano, per questo l'hanno promosso, gli hanno dato il suo spazio. Lui e tanti altri come lui” (p. 55). Astolfi ci ricorda che la mediocrità esercita professioni di tutto rispetto, e spesso assume cariche e ruoli assolutamente notevoli. E incide profondamente nelle nostre vite. Vero. Tutto sta nel saper nascondere le misure della propria mediocrità, scopre Mario. Non male.
Nel primo racconto, il più melodrammatico, Astolfi racconta invece la solitudine gelida di un vecchio, Giuanin, che ha deciso di ammazzarsi, e ha deciso di ammazzarsi rispettando, chiaramente, una certa ritualità. L'ha deciso quando, “dopo essersi pettinato, sistemato per benino la giacca, allacciato le scarpe e infilato il berrettino, ha aperto la porta di casa deciso a uscire. E invece non ha mosso un passo, è rimasto lì imbambolato, immobile con la maniglia ancora in mano. Dove vado? Si è chiesto” (p. 17). Già, dove va? È da una vita che non ha più voglia di uscire, e non sa dove andare. Tutti i suoi vecchi amici ferraresi se ne sono andati, hanno venduto casa e si sono trasferiti. Dalle sue parti, in città, sono arrivate parecchie diverse comunità straniere, e le vecchie abitudini e i vecchi circuiti sono spariti.
Nel racconto, Giuanin si ritrova a essere salvato, poco prima di prendere congedo dalla vecchia palude, da una visita a sorpresa d'una cittadina moldava, che capisce per bene come stanno andando le cose e uscendo di casa, dopo un pranzo a dir poco fuori dai programmi, si porta via con sé la sua pistola. L'epilogo è salvifico per Giuanin – meno per la moldava. Astolfi ci suggerisce, naturalmente, che la coesistenza tra diverse etnie e diverse culture è una possibilità di arricchimento e di salvezza. Rischia d'essere eccessivamente didascalico, evita di piombare nella didascalia proprio rappresentando con credibilità il malessere del vecio: lo fa senza artifici e senza lezioncine ideologiche.
Il quarto pezzo, infine, “Anni Novanta. Vecchi ultras” è un'incursione nell'alienazione di chi finisce per vivere il calcio come una malattia e come un'ossessione per non ammettere che di certe cose, nella sua città (piccola o grande che sia), non ne può davvero più. Un gruppo di ultras della vecchia Spal di Ferrara, squadra che si ritrova da un pezzo tra serie C e serie B, viene rappresentato nel momento tragicomico del delirio ultraviolento e insensato figlio della delusione per una sconfitta. Potrebbero essere gli ultras della Triestina (mannaggia) o del Padova, cambierebbe poco davvero. Il racconto in questione tornerà comodo ai sociologi tra una manciata d'anni.
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Ciò che promette, in questa opera prima, è la buona fedeltà al territorio, è una certa semplicità – che significa assoluta estraneità alle pretese – e una discreta capacità di prendersi gioco delle cose che non vanno in provincia senza cattiveria, e senza ferocia. Tecnicamente siamo dalle parti degli sketch e dei bozzetti, degli esercizi di stile: ma con piena consapevolezza, mi sembra, e nessuna voglia di spacciare i propri racconti per ciò che non sono. Per dire, per un romanzo. Cosa che “Palude”, assolutamente, non è. Respiro troppo corto, in questo senso: ma s'intravedono, questo sì, ambizioni mosaicali. Curiose.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Enrico Astolfi (Magenta, Milano 1976), ferrarese d'adozione, recentemente romanizzato. Scrittore, sceneggiatore e film-maker italiano.
Enrico Astolfi, “Palude”, La Carmelina, Ferrara, 2008. Prefazione di Lorenzo Mazzoni. In copertina, un disegno di Andrea Amaducci. ISBN 9788890330032
Approfondimento in rete: blog di ASTOLFI / okkio / Sugarpulp / scritturainforma / bookland / linea bn /
Gianfranco Franchi, “Lankelot”. Marzo 2011.
ISBN/EAN:
9788890330032