mercoledì 4 novembre 2009

Altri estratti della LA BALLATA DEL TOCORORO (o della rivincita dei sud del mondo).


Brunello: il panificio Centrale

Alla radio Paolo Conte sta cantando le prodezze di Bartali. Brunello impasta e sbuffa.
Piccolo e tozzo, con capelli nero-bianchi tirati all'indietro, una brillante pettinatura assicurata da una patina di gel. Sostanzialmente un uomo peloso.
Il laboratorio è silenzioso. Dalla finestra, lievemente aperta, provengono le voci della strada.
Ragazzi in vena di urlare... bella vita i giovani, loro sì che se la spassano, pensa, continuando il suo lavoro. I muscoli delle braccia tesi.
Fa caldo. Brunello si asciuga il sudore della fronte con la manica della maglia consunta.
Anche il culo extra tocca farmi! La focaccia pomeridiana! E lei? Lei se ne va in giro a fare compere... stronza! E questo qui cos’ha da cantare? Bartali... Bartali... ma va a cacare!
-Era un coglione, meglio Coppi! Va bene?- dice Brunello rivolto alla radio.
Con la mano sporca di farina gira la manovella dell’apparecchio. Una rumorosa cacofonia di suoni rock, una trasmissione religiosa, le previsioni del tempo. Gianni Morondi canta Bella Lucinda. Brunello fischietta il ritornello e segue con beatitudine la performance canora fino all’ultima nota.
Mi piace Gianni Morondi... è un brav'uomo, uno d'altri tempi.
Inizia il giornale radio. Brunello dà una sonora pacca sulla superficie della sua gigantesca palla d’impasto.
-Buongiorno amici radioascoltatori! Sono le sedici e queste sono le notizie del giornale flash:
Il Governo ha disposto nuovi fondi per la costruz…
Brunello si disinteressa e inizia a fare delle palline strappando lembi dalla massa uniforme, che ha impastato con voga.
Chissà dov’è quel gatto fifone… adesso che Marla è fuori potrei divertirmi con quello stupido quadrupede…
-Micino? Micino?- ringhia Brunello come un rotwailer sadico.
Oggi è padrone della sua prigione. Ha il forno tutto per sé. Una gioia idiota si impossessa della sua mente, dei suoi muscoli.
Vai vai… vai pure a comprarti i vestiti... vai a comprare costosi bocconcini di pesce per il gatto... vai in giro a sperperare i soldi mentre io qui mi faccio il mazzo. Non assumere un aiutante, no! Continua a comportarti da egoista... maledetta... tu e il tuo costosissimo gatto.
Brunello tira su con il naso e inizia a disporre le palline d’impasto in una teglia unta d’olio.
-…un’esplosione nel centro di Kabul ha causato la morte di tre persone e...- annuncia il giornalista alla radio.
Stacca un nuovo lembo dalla massa uniforme.
Cosa vuoi che siano tre morti e poi se la sono voluta: mettono bombe sugli aerei, sui treni, cosa pretendono? Cosa vogliono? Un premio?
Prende la paletta e raschia via un grumo di pasta secca dal tavolo di marmo.
Sospira, si guarda intorno, prende conforto dalla vista dai suoi apparecchi di lavoro che da anni incorniciano tutte le sue giornate.
-…a Bologna, questa notte, è stato sgomberato lo stabile di via Zanardi 78, occupato da diversi mesi da famiglie di extracomunitari. Il vicequestore Della Vittoria, a capo dell’operazione, ha dichiarato che durante lo sgombero è stato arrestato un cittadino marocchino senza permesso di soggiorno avvicinabile all’area del fondamentalismo islamico…
Brunello indica la radio borbottando:
-Bravo Della Vittoria! Fate piazza pulita di quella sporcizia umana che ci sta invadendo! Siamo prigionieri nella nostra patria!
Dovrebbe venire da noi il vice-questore, per cacciare a pedate il negretto che è venuto a vivere al terzo piano, pensa accigliandosi. Infine si dirige verso il forno e guarda con attenzione come procede la cottura delle focacce al formaggio.
-…e ora veniamo alle notizie sportive…
Alza la testa.
-...è andata male alle italiane in coppa…
Si concede una smorfia compiaciuta, spegne la radio e torna al suo tavolo da lavoro.
Odia e ama quest’ambiente. E’ una sensazione strana che, nella sua rozzezza di spirito, non sa spiegarsi. Si gratta la pancia con le mani impastate, se le passa sul viso rigandoselo di farina e pasta molle. Ridacchia.
Si sente un soldato, un lagunare, un eroe della brigata Sassari.
Mi mimetizzo, operazione forno…
All'improvviso sente un'energia strana.
Di scatto si gira verso la finestra che dà sul giardino interno e vede Napoleone.
Eccoti, pensa pronto ad agire.
Il felino, musetto appiccicato al vetro, inizia a miagolare, a strusciarsi.
-Gatto bastardo!- urla Brunello, con le vene del collo che gli si gonfiano e gli occhi totalmente aperti, quasi dovessero saltar fuori dalle orbite.
Il panettiere afferra due palline d'impasto e le tira violentemente.
L'eco dell'impatto scuote il laboratorio. Per un istante il panettiere pensa al peggio, teme di aver sfondato la finestra. Lo spavento gli fa irrigidire i nervi, istintivamente chiude gli occhi, come per proteggersi dalla sua colpa. Quando li riapre nulla è cambiato: il gatto è ancora lì, fermo, immobile nella stessa posizione, con lo stesso sguardo.
Napoleone, assonnato, osserva quell’uomo agitarsi, muovere le mani.
Sente delle vibrazioni, nota come la bocca si apre e chiude ripetutamente. Allora, disinteressato, se ne va.
Brunello sta per tornare al suo lavoro quando sente girare le chiavi nella porta del negozio.
Una goccia di sudore gli scende sulla guancia destra.
-Brunello? Brunello? Ci sei? Sono tornata! Brunello?
Lui non dice niente. Abbassa lo sguardo. Stringe i pugni. Grugnisce. Poi sputa nell’impasto e inizia a mescolare.
Marla entra tutta sorridente.
-Hai visto Napoleone?
-No! Non ho visto nessuno!



Marla: i magnifici biscotti del panificio Centrale

Napoleone, infastidito da un rumore, apre l’occhio sinistro, vede Marla che ancora dorme, sontuosamente ricoperta dal piumino viola.
Con la zampina si pulisce il muso, scende dalla poltrona, appoggia prima le due zampe anteriori, seguite da un’ondata di grasso peloso e da un tonfo tondo. Ancora un po’ addormentato zigzaga costeggiando il letto.
Alza la testa e controlla che il suo posto si sia finalmente liberato. Sale sul letto, scivola sulle gambe della padrona fino ad arrivare al cospetto dei suoi grandi piedi e inizia un circolare movimento del bacino massaggiandole le piante.
-Leone, amore mio, dai, mettiti a letto...- borbotta amorevolmente Marla.
Il felino ubbidisce e risale zampettando. Il calore di quel piumino viola lo inebria.
Felice e beato arriva al cuscino di Brunello e ci si spaparanza sopra. Fissa quei lunghi capelli rossi e li tocca con la zampina, giocandoci.
-Sì, sì, anch’io, anch’io... dai, dormi leoncino di mamma- sussurra dolcemente Marla dopo essersi voltata verso il gattone.
Leone la lecca sul viso, si aspetta una risposta altrettanto affettuosa, ma lei non ricambia e si rituffa nel suo sonno.
Brunello sta scaricando della farina dal furgoncino del cugino Marco.
La luce che illumina i palazzi è bianca.
Marco gli passa i sacchi, lui li appoggia davanti alla porta del panificio. Ha accumulato un bel mucchio disposto su due file. I due sembrano non aver la minima intenzione di parlare.
La schiena del panettiere è un dolore unico.
Con i sacchi che lo ingobbiscono scivola dall’esterno all’interno guardando costantemente l’orologio. Frettoloso si carica dell’ultimo sacco rimasto. Gocce di sudore gli grondano dal viso.
Il furgoncino scompare dietro l’angolo.
La sveglia suona.
Marla con i capelli tutti arruffati si alza immediatamente senza esitazioni e con fare militaresco scende dal letto. Con passi pesanti si dirige verso il bagno, sbattendo dietro di sé la porta.
Quando la riapre, esce truccata, pettinata, perfettamente sistemata. Un vapore denso invade la camera da letto.
Si infila i pantaloni bianchi, il camice extralarge e, inarcandosi all'indietro, si sistema per bene il reggiseno. Entra nel piccolo ripostiglio adiacente al bagno, afferra un minuscolo aspirapolvere giallo. Sgrana gli occhi, zooma bene sulla parte dove dorme il marito, accende l’elettrodomestico e con cura inizia ad aspirare tutti i peli di gatto che riesce a vedere.
Dopo aver tolto le tracce della sua dormita con il felino, scende.
Il rinomato panificio Centrale è aperto.
Sente un rumore, s'acciglia, volta lo sguardo.
Dalla porta adiacente esce un ragazzo di colore.
Lo viviseziona con gli occhi.
-Hello madame!- dice lui.
Lei non risponde, con uno scatto si gira dall'altra parte schifata.

***

Il silenzio, al mattino, è talmente avvolgente che, camminando per le vie del centro storico, si ha la sensazione di fluttuare, di essere leggeri.
Capita, a volte, di guardare la gente che passeggia con la speranza di sentire il rumore dei passi. Invece non si alza nessun suono.
Le poche macchine, che lentamente passano vicino al Castello, sembrano farlo in maniera educata, discreta, per non farsi riconoscere. Rimangono nell’anonimato e scompaiono nella nebbia.
La nebbia, che in questo lembo di pianura, si presenta quotidianamente alla città, è il vestito di Ferrara, il suo profumo, la sua maschera inebriante.
In piccole cittadine come questa ci sono dinamiche comportamentali consolidate.
La gente è abitudinaria: ama fare le stesse cose alla stessa ora, andare negli stessi posti in giorni prestabiliti. La ritualità ha una sua dignità decennale.
Alto, magro e fibroso, pelle costantemente color bronzo che non accenna a sbiadire neppure con le nebbie più soffocanti, capelli brizzolati ma non troppo, il notaio Picco passeggia tranquillo.
Vestito con un completo blu a striscioline bianche, cucito su misura dal compagno di pesca pesante, il sarto armatore Carlo Camparini.
Cammina diritto come un pioppo, percorre velocemente la via, un passo dietro l’altro, muove la testa da destra a sinistra come la vedetta di un sottomarino in emersione.
Una volta individuato qualcuno che lo guarda ricambia l’attenzione con corposi saluti.
Se per la strada non c’è nessuno, sorride ai muri, al cielo, alla sua fortunata esistenza.
Arriva davanti al rinomato panificio Centrale, traccheggia un istante lasciando andare lo sguardo al di là della vetrina, infine, entra.
Marla è una donnona tutta d’un pezzo, stimabile sui novanta chili per un metro e sessanta. Il camice bianco riesce a malapena a contenere le spalle enormi. Il petto prorompente sembra dover uscire dal reggiseno in qualsiasi momento. Lunghi capelli rossi, cotonati, spumeggianti, curati, belli, bellissimi, le scivolano dietro la schiena.
Fra quel lussureggiante spettacolo, due guancione carnose e tonde. Le labbra, contratte agli angoli, formano una miriade di rughette addolcite da falsi sorrisi e briciole di torta Tenerina.
Un paio di sontuosi occhiali in oro, due ciondoli perlatobrillantissimi che penzolano dalle estremità della montatura nascondendole gli occhi. I clienti, sia per rispetto verso quella visione luccicante, sia per timore delle sue dimensioni, ciondolano silenziosamente in attesa del loro turno, seguendo il ticchettio dell’enorme orologio appeso dietro il bancone, regalo del Patriarca Fiammetto, padre defunto del marito.
Il campanello del panificio suona, il notaio Picco entra nel locale.
-Buongiorno notaio!- saluta Marla, mentre con una mano serve un cliente e con l’altra si aggiusta gli occhiali impercettibilmente fuori posto.
-Buongiorno Marla! Indaffarata come sempre...- risponde il notaio. Poi, educatamente, saluta con un cenno del capo il resto dei clienti.
Sorrisi di egual cordialità si aggrappano al suo gesto.
Il notaio Picco rimane anch’egli fermo, immobile, in attesa di essere servito. Lui, però, non ciondola. Disinvolto, si tende in una posizione di perfetta postura. Tenendo le mani in tasca segue ogni movimento della panettiera. Ogni tanto, guardandosi intorno, sorride cordiale.
La panettiera, intenta a esaudire le richieste dei clienti, lo scruta di sottecchi, muovendo le sopracciglia. Gli occhiali si alzano leggermente, provocando il timido tintinnare dei ciondoli perlati.
-Poi c’è lei signor notaio...- ammicca fra il rumore di perle.
Lui tira fuori la mano destra dalla tasca e la lascia passare fra i capelli, si gira, con due lunghi passi si avvicina alla vetrata per guardar fuori. Il sole è nascosto dietro al cielo grigio.
Qualche nuvola bianca è dispersa nell'immensa tela tersa. Puntuale arriva il rintocco delle campane del Duomo, mentre, figure ingobbite, si muovono lente nella via.
Una vecchietta equilibrista arranca con due sporte caricate sul manubrio della sua Graziella. Ha un foulard bianco che le avvolge la testa.
Un uomo, infagottato in un cappotino blu, pedala tenendo le mani conserte all'altezza dell'addome, fischietta con espressione anonima.
Un silenzioso via vai, privo di sguardi, mentre il suono metallico delle campane rimbomba ovunque.
-Mi dica notaio, cosa le servo?- urla Marla.
-Due coppie all’olio e un paio di etti di biscotti al cioccolato- risponde lui, tornando vicino al bancone.
-Sono per sua moglie?- chiede la panettiera, fissandolo e muovendo leggermente le spalle in avanti.
-No, no… per la mia piccola…
-Ah, ma è tornata? Quando?
-Da un paio di settimane...- Si ferma per un istante, gonfia il petto, continua:
-Sa, le avevano anche proposto di rimanere nella multinazionale presso la quale ha sviluppato il progetto della borsa di studio, ma lei ha rifiutato perché le manca Ferrara, preferisce venir a lavorare qui, nella sua città. Ha già tante richieste.
-Certo, è sempre stata bravissima! Allora mi permetta di darle anche un paio di questi biscottini all’anice che so che a sua figlia piacciono tanto... però le dica di venirmi a trovare.
Con la paletta ne prende una consistente manciata e li deposita con garbo dentro un sacchetto di carta.
Il luccichio dei suoi anelli s’infrange sul vetro del bancone.
-Adesso è lei a viziarla...- dice il notaio, sorridendo.
Marla scoppia in una risata poco composta che sembra un singhiozzo, ha la bocca spalancata, la lingua attaccata al palato.
Il notaio Picco e due signore ben vestite, da poco entrate, sorridono.
-Si figuri... no... ah, notaio, notaio...- riesce a dire la panettiera, combattendo contro la risata isterica, che si è impossessata di lei.
Una volta impacchettati i biscotti e sistemato il pane dentro al consueto cartoccio bianco, Marla consegna il tutto al Picco.
-Grazie mille Marla, gentile come sempre.
-È sempre il benvenuto e dica a sua figlia di passare che le devo far assaggiare delle cose buonissime che si è inventato Brunello.- Ha le mani sui fianchi e un’espressione di compiaciuta gentilezza, gli occhi gonfi.
-Ci conti… grazie ancora e arrivederci.- Si volta leggiadro ed esce lasciando, dietro di sé, una fresca scia di profumo e di pettegolezzi pronti per essere colti.
Quando la porta si chiude, Marla si lascia andare in un sospiro sospetto, prontamente camuffato da un'improvviso colpo di tosse.
-Il prossimo!- proclama austera.
Una signora con capello lungobiondoliscio ordina delle pagnotte al sesamo, poi domanda:
-Ma quanti anni ha la figlia del notaio?
-Venticinque, si è appena laureata e subito ha vinto una borsa di studio in Irlanda, è una brava ragazza.
-Ecco perché mi sembra di conoscerla... faceva il liceo con mio figlio... non nella stessa classe, ma ricordo che ai colloqui il notaio la accompagnava... sempre cosi elegante!
L’altra signora annuisce senza dire niente. Indossa due enormi occhiali a goccia che quasi le toccano le labbra e tiene salda fra le mani una sciccosa borsa di Armani.
-Sì, è sempre stata brava ed educata. Va pazza per i nostri biscotti al cioccolato, li ha sempre adorati, sin da piccolina... e deve vedere che bella ragazza che è diventata! E lei signora, li ha mai provati?- chiede Marla indicando la cesta contenete i biscotti.
Quella con la borsa di Armani può finalmente intervenire:
-Sono buonissimi! Io non li compro spesso perché... sa, per la linea...
-Ma che dici! Stai benissimo cosi!- conviene la bionda che adesso ha tirato fuori dalla sua borsetta un portamonete tutto luccicante. Sorride e aggiunge:
-Va beh, allora vada anche per i biscotti... mi tolga una curiosità: in cosa si è laureata la figlia del notaio?
-In Economia… quanti ne vuole di biscottini?
-Faccia due etti, grazie.
Le due donne escono.
Marla le saluta.
Dietro la tenda che divide il laboratorio dal panificio, Brunello, sbirciando, ha assistito a tutta la scena. Lui schifa il notaio Picco. Non è che sia geloso, del resto Marla sembra più un pugile che una donna, ma la questione è che quel damerino si prende troppe confidenze con sua moglie.
Chi penserà mai di essere… solo perché ha i soldi... mette una firma e son cinquecento euro... è facile così... io mi faccio il culo, mica guadagno i soldi a firmare... e poi perché le sorride? E se io sorridessi così a sua moglie? E sua figlia, altroché brava ragazza, ha la faccia da pompinara… chissà cosa combina quella lì.
-Brunello? Brunello?
-Sì?- Fa due passi indietro, sgombra l'espressione dai cattivi pensieri ed entra nel panificio.
-Hai visto cosa c’è davanti al negozio?
-Sì, avrei voluto spazzare stamattina, ma ho avuto problemi con il forno a ventilazione: è un periodo che mi dà noia.
Marla lo interrompe:
-Ancora quei filtri per fumare gli spinelli... io li denuncio quelli!
-Vedrai che uno di questi giorni viene la polizia. Basta avere pazienza e prima o poi le cose le sistemiamo.
Marla gli regala un sorriso impastato a occhi da cerbiatta, si gira e mentre sta per rientrare, con tono cordiale, dice:
-Dai che andiamo a mangiare.
Brunello abbassa la serranda del panificio, alza la testa. Grattandosi la pancia fissa la bandiera della pace. Strizza gli occhi, contrae le labbra, delle rughette gli circondano il naso. Gonfio di rancore rientra nel negozio.
Che animali, non si meritano di vivere qui. Perché affittano le case del centro storico agli studenti? E poi io mi chiedo cosa ne sanno loro della pace, della guerra. Sfaticati, ignoranti con quei vestiti da straccioni! No global di ‘sto cazzo! Tutti al rogo!
Un vecchietto passa in bici.
La bandiera arcobaleno svolazza delicatamente mossa dal debole vento.
Via Coromari cade in un silenzio impalpabile e neutro.



SINOSSI
Romanzo “La ballata del Tocororo ( o dei sud del mondo)”
Di Astolfi Enrico e Mazzoni Lorenzo


Una Odissea di oggi, una ballata scritta a quattro mani, un gioco letterario intriso di humor, avventura, azione, sangue e amore. Un’opera sorretta da più fili narrativi, capace di amalgamare e fondere strutture tipicamente cinematografiche ai crismi del romanzo.

“La ballata del Tocororo ( o dei sud del mondo)” è diviso in due Parti: Terra ed Acqua.

TERRA, amara e grottesca fotografia dell’Italia contemporanea, si regge su una struttura drammaturgica ad episodi paralleli. Lo snodarsi narrativo, raccontato al presente utilizza un linguaggio visivo, efficace ed immediato.
La vicenda inizia dalla fine del mondo cioè dal giorno in cui, improvvisamente, la terra si sgretola e gran parte della crosta terrestre viene inghiottita dall’acqua. In questo veloce capitolo d’introduzione, troviamo i due protagonisti (Pasquino e Fedrico) al culmine della loro tensione drammaturgica. L’inaspettata apocalisse taglia netta le loro azioni. I personaggi cedono all’avvento dell’inspiegabile, il plot si arresta.
La storia riprende con un flash back. Federico, giovane dal bell’aspetto, neolaureato in Scienze Naturali, per sfangare il lunario lavora come fattorino per l’eccentrico notaio Picco. Conosce Bernadette, figlia del datore di lavoro. Nello sfondo di una Ferrara claustrofobica, pettegola, maligna, borghese, si snoda la loro burrascosa e drammatica storia d’amore.
Altro miracolato dall’apocalisse è il vigile urbano Pasquino, quarantenne dal profilo bohemienne, laureato in Storia dell’Antichità, che dopo una serie di traumatici e grotteschi fallimenti decide di farla finita con il suo sogno: diventare uno scrittore. Ma anche per Pasquino, nel “nuovo mondo”, ci sarà una seconda vita e quella macchina da scrivere, che stava per vendere al mercatino dell’usato, sarà la compagna di un incredibile viaggio.
Tra le righe di Terra, compare, volteggia, osserva, uno strano uccello: il Tocororo, uccello sacro, simbolo di Cuba che inspiegabilmente si trova a Ferrara. Un mistero, quello del simpatico uccellino dal piumaggio dei colori della bandiera dell’isola, che solo alla fine verrà svelato.
Il vecchio mondo non c’è più, quel che resta è una distesa infinita d'acqua cristallina, in cui galleggia una sottile linea di terra.
ACQUA parte da qui: Ferrara e Bologna, trasformate dalla catastrofe in un’isola, rimaste senza elettricità e acqua corrente, sopravvivono con il baratto. In una situazione di delirio collettivo, di sbando, gli autori seminano i presupposti per l’odissea che taglierà il nuovo mondo.
Scorza Dura capo ultras del Livorno (la squadra, il giorno dell’apocalisse, gioca a Bologna. Tremila labronici sopravvivono e, con l’intenzione di ricreare un modello socialista, occupano un quartiere) fa un sogno: riportare il Tocororo a Fidel Castro. Riportarglielo per adempiere ad una profezia. Compiere quest’impresa impossibile per ricongiungere tutti i pezzi di quell’umanità dilaniata scampata alla catastrofe. Rimettere i tasselli al loro posto per riscrivere la storia, per unire i popoli sopravissuti, per riprovare a dare un senso al mondo. Impavido, convinto che, finalmente, un cambiamento sia possibile, raggiunge Ferrara per trovare il sacro pennuto caraibico.
Le congetture dell’ultrà livornese sembrano il delirio di un folle. Solo un inaspettato e plateale gesto dell’uccello cubano darà un senso al suo farneticare e inizio al viaggio verso Cuba.
Insieme a Pasquino e a Federico torna a Bologna per rafforzare la zattera che li porterà a destinazione.
Poi verso est, seguendo i venti, come antichi esploratori. L’imbarcazione batte la bandiera del Livorno calcio, sul fianco una scritta: “Erodoto”.
Pasquino, Federico, Scorza Dura, il Tocororo, la strana combriccola in balia del mare e di mille avventure.
Bologna, Santorini, Istambul, lembi di deserto, atolli abbandonati, Hurgada, isole sconosciute, le Maldive, quello che rimane della Thailandia, le isole di Tuvalu, fino alla battaglia finale di Caracas.
Durante questa odissea i tre incontrano pirati corrotti, guarnigioni di sanguinari curdi, clandestini trucidati, marines esaltati che bivaccano in una caserma nel deserto, spacciatori colombiani, amazzoni Thailandesi che torturano ex clienti e governano un atollo, personaggi dello spettacolo che si mangiano fra di loro, un sadico generale a capo di un esercito irregolare di skinhead, fasci di vecchia data, militari smarriti, ex poliziotti picchiatori, violentatori, immani mercenari, e un famosissimo cantautore italiano che ha perso la memoria ed è diventato un menestrello alcolista.
Senza pausa, per oltre trecento pagine, fino alla battaglia finale per un “mondo diverso”.
Una guerra campale, il conflitto di sempre. Il bene contro il male, i rimasugli dell’orrore del vecchio mondo contro le speranze di chi è deciso a non cedere ancora.
Il tocororo, il vero eroe, ci accompagnerà in questa divertente, scanzonata, irriverente ballata.

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